Sara Gambazza

Al Cinghio, un quartiere disastrato di periferia, in cui vivono t0ssici, piccoli criminali, spacciat0ri e bulli, si incontrano anche persone di incredibile umanità.
Con loro la vita non è stata tenera, hanno subito perdite importanti e portano con sé – ovunque vadano- un alone di malinconia; a dispetto di questo, sono disposte a mettersi in gioco e ad aiutarsi, ad “esserci” quando ce n’è bisogno.
È così per Marta, che adotta “una vecchia di nome Bambina”, che in pochi giorni colma il vuoto lasciato dalla madre, morta di cancro al fegato per il troppo bere, e dalla sorella, fuggita dallo squallore di quella morte; è così per Ljuba, che ricama fazzoletti di cotone, mentre accudisce l’ultranovantenne Maria e pensa al suo amore infelice per Dalina; è così per Benny, da sempre innamorato di Marta, che fa la guardia giurata, ma che ancora si commuove se pensa alla minestrina di nonna Celeste.
E poi c’è Gianna, che origlia e sente le voci; c’è Genny che fa da angelo custode ad un poco di buono; e Fabio con il berretto rosso e il biglietto del treno pronto per andare in Germania.
È inevitabile, per chi legge, provare un po’ di quella stessa malinconia e percepire un vago senso di tristezza di fronte al sofferto vissuto dei personaggi.
Ma il messaggio del romanzo è, in fondo, molto potente e positivo: nelle tempeste, pure inevitabili, della vita, ci salvano gli affetti, l’amore, la famiglia; nella consapevolezza del dolore, ci aiutano la tenacia, la voglia di riscatto, la solidarietà.
Ci sono libri “che odorano di buono”. Questo è uno di quelli.
Ringrazio Longanesi per la copia in omaggio.