
Elisabeth
Ken Grenhall (1928-2014)
traduzione di Monica Pareschi
Adelphi, Fabula, 2024
173 pagine
18 euro (cartaceo)
10,99 euro (digitale)
Apparso per la prima volta nel 1976 e recentemente ripubblicato da Adelphi, Elisabeth di Ken Greenhall (1928-2014) è un breve romanzo che nella presentazione della stessa casa editrice viene definito “anomalo” e “innaturale”.
Racconta infatti una storia che devia dalla morale comune, una vicenda in cui, senza clamore né scandalo, il bene e il male si scambiano di posto dalla prima all’ultima riga, provocando in chi legge un forte effetto straniante e insieme disturbante.
Il romanzo si presenta come una sorta di allocuzione al lettore, un dialogo in cui la voce narrante, quella della protagonista Elisabeth, lo interpella, chiedendone la comprensione: “lasciate che vi spieghi”; ve ne convincerete”; “Voi mi capite, vero?”.
Ma il lettore non può riconoscersi nella protagonista, né negli altri personaggi, né tanto meno nel contesto allucinato di cui essi fanno parte: un’agiata famiglia newyorkese, i cui membri intrattengono con totale naturalezza rapporti segreti e spesso illeciti, dettati dall’odio, dal timore, dal sadismo e dalla perversione.
Ciò è evidente fin da quando, subito dopo l’incipit, Elisabeth si presenta dicendo di sé:
“Mi chiamo Elisabeth Cuttner e ho quattordici anni. […] Sono venuta ad abitare dalla nonna più o meno un anno fa, dopo aver ucciso i miei genitori”.
E poche pagine dopo:
“«C’è nessuno in casa? ». Era la voce di James, il fratello di mio padre. James aveva gambe robuste, abbronzate. Aveva anche addominali notevoli, e non gli avevo mai visto un lampo d’incertezza negli occhi. Era il mio amante”.
Bella e sensuale, conscia del proprio fascino e dell’attrazione che suscita negli uomini di tutte le età che vengono in contatto con lei, Elisabeth è un’adolescente spietata che sembra provare una qualche forma di affezione per i suoi animali (un rospo, un serpente, un gatto) più che per i suoi familiari, ai quali riserva considerazioni poco lusinghiere e giudizi sferzanti:
“Papà rabbrividì. Aveva la pelle esangue e giallastra, e mi fece pensare alla carne di pollo esposta al mercato. […] Si rendeva conto di quanto era brutto?”
“[Mamma] era una donna volgare e disperata, e avevo voglia di vederla ancora più disperata”.
La sua totale mancanza di empatia e di intelligenza emotiva non le permette di provare amore per altri che per se stessa. La sola compagnia che gradisce e, anzi, ricerca, è quella di Frances, la sua antenata strega, che appare e scompare attraverso gli specchi della vecchia villa in cui Elisabeth abita dopo la morte dei suoi (“La casa è del 1836 e dentro ci sono ventitré specchi”) e che rappresenta, evidentemente, il suo doppio.
Frances non solo le insegna alcune pratiche di negromanzia, ma le spiega anche come esercitare sugli altri il potere che deriva dalla sensualità e più ancora dalla forza.
Trovando in Frances un’alleata fedele, Elisabeth si dimostra disposta anche all’indicibile, pur di mantenere questo potere manipolatorio su chi la circonda.
Ringrazio Adelphi per la copia in omaggio 🌺