

Intervista a Enrica Ferrara 🎤
Venerdì 10 maggio, subito dopo la bella chiacchierata con Desy Icardi, nella splendida cornice del Salone del libro e in particolare dello stand di Fazi Editore, ho intervistato Enrica Ferrara, autrice del romanzo autobiografico Mia madre aveva una Cinquecento gialla, che segna per lei l’esordio nel mondo della narrativa.
Ne è venuto fuori un dialogo sostanzioso, in cui Enrica ed io abbiamo messo un po’ da parte i ruoli per cui eravamo chiamate e abbiamo scoperto tante belle affinità, soprattutto di tipo culturale. Ringrazio dunque doppiamente Fazi Editore (nella persona di Cristina), per avermi concesso questa opportunità 🌷

- Il titolo del romanzo, che costituisce anche la prima frase, ha uno spiccato valore metaforico. Io l’ho interpretato come un riferimento alla famiglia al femminile che si viene a creare dopo l’abbandono da parte del padre (simboleggiato dall’Alfetta blu). E’ corretto?

“Assolutamente lo è! La Cinquecento è la metafora dell’universo femminile: un’automobile con una marcia in meno, che simboleggia ‘il sesso debole’ (almeno dal punto di vista degli uomini); e anche con un colore sgargiante, il giallo, che rappresenta qualcosa di frivolo e di eccentrico, quasi di pericoloso rispetto alla mentalità del ‘patriarca’, che ha delle idee tradizionali rispetto alla famiglia, rispetto a quello che è o non è di classe. Non dimentichiamo, infatti, che la famiglia di cui parlo nel romanzo appartiene alla Napoli ‘bene’, quindi c’è tutto un comportamento che i suoi membri dovrebbero tenere e che però stride con la condotta del protagonista, un padre, un uomo politico democristiano, che non si capisce se sia tutto d’un pezzo o meno”.
- A proposito della condotta di Mario Carafa, l’interrogativo chiave è proprio questo: alla fine, lo dobbiamo considerare colpevole o innocente?
“C’è un bel mistero intorno a questa figura, un’ambiguità che prosegue per tutto il romanzo, per cui noi non sappiamo dire effettivamente se sia innocente o colpevole, almeno dal punto di vista politico e giuridico. Ci sono due piani, infatti: quello politico e quello personale. Senza dubbio come padre è colpevole, per aver abbandonato la famiglia. Sotto questo aspetto, tutti lo condannano e più di tutti la moglie Sofia. Gina, la figlia minore, che è la voce narrante, invece, lo idolatra e lo venera, come accade normalmente a tutte le figlie femmine nei confronti del padre (a meno che non sia un padre violento). E’ possibile non amare un genitore, anche se ci fa del male? Sinceramente, credo che non sia possibile”.

- Perché l’altra figlia non prova lo stesso sentimento per lui?
“Perché è più grande, ma soprattutto perché si schiera dalla parte della mamma. Si vengono a creare proprio due fronti opposti all’interno della famiglia, che risulta spaccata a metà”.
- La narrazione è affidata al punto di vista di Gina: un espediente efficacissimo, che serve a descrivere il mondo degli adulti da una prospettiva straniata e innocente, quella di una bambina di dieci anni che posa il suo sguardo ingenuo su cose ben più grandi di lei. Ma come mai la scelta di inserire anche i capitoli in cui Gina ha diciassette anni?
“E’ stata una scelta molto importante, in realtà effettuata in un secondo momento: inizialmente la storia era raccontata solo dal punto di vista di Gina a dieci anni, ma per dare sostanza al background storico, era necessario inserire il punto di vista della ragazza di diciassette. A questa età, Gina non è adulta a tutti gli effetti, ma comunque, rispetto a quando aveva dieci anni, può capire molto di più e molto meglio. Consideriamo anche possiede degli strumenti per comprendere il mondo un po’ superiori alla media, visti i suoi interessi e le sue attitudini”.
- A cosa è funzionale la passione di Gina per le parole difficili?
“In parte è un espediente narrativo, mi interessava far comprendere come i bambini vedono il mondo in maniera diversa, un po’ magica, lo interpretano in modo più veritiero e spontaneo degli adulti. Ma c’è di mezzo anche il concetto di ‘traduzione’: io sono napoletana, ma vivo in Irlanda e mi sono messa nei panni di chi traduce per i lettori stranieri, anche per loro ho pensato a quanto è importante capire veramente il significato delle parole”.
- Un episodio particolarmente significativo del romanzo è quello della fuga di Gina. La madre collega all’assenza della figura paterna, la protagonista sostiene che l’ha organizzata per poter diventare una scrittrice e fare come gli scrittori veri, che, come eremiti, si ritirano dal mondo per lavorare. Qual è la versione giusta? Chi ha ragione?
“Nel romanzo si parla di diversi viaggi, di vari “spostamenti”: beh, questi non fanno che mimare la fuga del padre. C’è anche la voglia di allontanarsi da Napoli, che rappresenta la città del ‘trauma‘. La fuga di Gina è legata poi al suo desiderio di scrivere e si intreccia in maniera fortuita anche con il desiderio di raggiungere Mario. Del resto, questa è la mia storia, benché romanzata: Gina rappresenta la me di tanti anni fa, che, come lei, aveva questo doppio desiderio“.

- Gina vede lo scrittore come un eremita che si isola dal resto del mondo per dedicarsi felicemente solo al suo lavoro. Sei d’accordo? E’ anche la tua visione? Torna del resto l’idea della “fuga nell’isola”, che sia Ponza o la Sardegna, per Gina, o l’Irlanda, per te.
“Sarebbe bello potersi isolare del tutto, per me rimane un sogno, anche se oggi non si riesce mai a chiudersi del tutto ‘nell’eremo’. In effetti, in Irlanda riesco a scrivere perché c’è tanta pace c’è tanto spazio, c’è tanto silenzio…non potrei mai scrivere in una città come Napoli! Questa idea dell’isola come luogo di creazione, me la porto dietro da tanto tempo. Per esempio, per scrivere i miei saggi accademici uso tantissimo le biblioteche: ho proprio bisogno di chiudermi in una bolla per riuscire a produrre. Del resto è bellissimo anche confrontarsi con i lettori, perché notano nel testo degli aspetti ai quali lo scrittore magari non ha neanche pensato e che ha inserito in modo inconscio”.
- Come contribuisce alla formazione di Gina l’episodio del campeggio, durante la prima estate senza il papà?
“Questa vacanza aiuta Gina a capire che ci sono diversi tipi di amore e che l’amore idealizzato nei confronti della figura paterna non è l’unico esistente al mondo. Vede con occhi diversi sia la sorella sia la madre e comprende anche quant’è variegato l’universo femminile e quanto può essere di supporto. E’ qui che inizia a smontare il mito dell’uomo patriarcale, tradizionalista, all’ombra del quale era vissuta”.
- Quali libri hanno contribuito in modo sostanziale alla realizzazione del tuo romanzo?
“Ce ne sono tanti! Sicuramente Il sentiero dei nidi di ragno per il punto di vista del bambino; per delineare la figura del padre ambiguo hanno contato molto i libri di Domenico Starnone, in particolare Via gemito; I giorni dell’abbandono di Elena Ferrante per il tema dell’abbandono. Lessico Familiare e Valentino di Natalia Ginzburg per la figura del grand’uomo che viene demistificata e buttata a terra. Elisabeth Strout per il discorso dell’autofiction, visto che ho inserito un piccolo sottotesto che fa riferimento a me come autrice. Pasolini poi, per il discorso sul linguaggio della politica, soprattutto quello della Democrazia Cristiana, così opaco, così chiuso…continuo 🤣?”
- Quale libro stai leggendo e cosa hai comprato al Salone?
“Sto leggendo Il vecchio al mare di Domenico Starnone, ho comprato Missitalia di Claudia Durastanti e A beautiful nothing di Enrico Terrinoni”.
- Scriverai un altro libro?
“Sto già scrivendo un altro libro, che sarà ambientato a Napoli negli anni ’90, anche questo basato su materiale autobiografico. Non ho ancora deciso se sarà un seguito del primo oppure un romanzo completamente indipendente. Poi sto scrivendo anche in inglese…ma per continuare, devo tornare sull’isola!”
Grazie Enrica 🌷
Enrica Ferrara è nata a Napoli, ma vive a Dublino da oltre vent’anni. Ha pubblicato numerosi saggi su letteratura e cinema, in particolare su Italo Calvino, Elena Ferrante, Natalia Ginzburg, Pier Paolo Pasolini e Domenico Starnone. Lavora al Trinity College e collabora con l’Istituto Italiano di Cultura a Dublino. Mia madre aveva una Cinquecento gialla è il suo primo romanzo (dal sito della casa editrice).
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