François Morlupi: “I Cinque di Monteverde, l’elogio della fragilità”

Intervista a François Morlupi 🎤

Oggi vi propongo una chiacchierata con François Morlupi, l’autore della serie de I cinque di Monteverde, di cui è stato recentemente pubblicato il quarto volume, Il gioco degli opposti (secondo in ordine di lettura).

Lo ringrazio di cuore perché è simpaticissimo e alla mano, al punto che mi ha fatto spedire lui in persona il libro dalla casa editrice Salani🌷

Ma veniamo a noi…

  • Inizio con una banalità e ti chiedo subito perché per l’ambientazione hai optato proprio per la Bulgaria e non per un altro paese dell’ex Cortina di ferro.

Semplicemente perché sono stato in Bulgaria per una settimana, e dopo aver avuto diversi incontri/scontri con la polizia locale, ho deciso di mandare i miei poliziotti di Monteverde in un mondo totalmente diverso, sia per il clima, per l’alfabeto, per la cucina e per tante altre cose.

  • Uno degli aspetti del commissario Ansaldi nei quali mi rispecchio di più è il suo continuo rifugiarsi nell’Arte -da questo romanzo sappiamo che il discorso vale anche per la mitologia antica- quando è in una situazione di ansia o di emergenza. È questa capacità consolatoria la funzione (o una delle funzioni) che dobbiamo attribuire alla Cultura? 

Non so se consolatoria, ma nel caso di Ansaldi sicuramente di speranza e di tranquillità. Penso che una delle funzioni dell’Arte sia quella di emozionare e provocare sensazioni uniche. Poi che siano di gioia, di tristezza, poco importa. Importante è che non lasci indifferenti e che una volta conosciuta, lasci un segno indelebile in ognuno di noi.

  • “Per gente come noi […] piove sempre”: una frase lapidaria del nonno di Ansaldi, che si riferisce alla fatica quotidiana del lavoro nei campi e nei mercati della capitale. Come si può adattare alla psicologia del commissario?

Per una persona come Ansaldi, che soffre di ansia ogni giorno, è una frase molto simbolica. Fa capire come sia impossibile rimanere al riparo, ci si bagna ma l’importante è poi riuscire a non soccombere. Tutti noi siamo Ansaldi, chi più chi meno, e tutti noi soffriamo d’ansia e siamo fragili. L’importante non è non cadere, ma rialzarsi dopo ogni caduta.

  • Al di là dell’indagine che è al centro del libro, mi pare che le situazioni personali di tutti i membri della squadra subiscano uno scatto in avanti: come si stanno evolvendo i personaggi?

Parto dal principio che l’indagine lascerà inevitabilmente delle ferite, sia nell’animo che nel fisico nei cinque. I cinque che iniziano un’indagine non saranno gli stessi di quando la finiscono. Alcuni di loro subiranno un’evoluzione o altri, invece, un’involuzione.

  • Di gioco degli opposti si può parlare non solo tra Ansaldi e l’ispettore Dimitrov, ma anche tra Dimitrov e il suo vice Balakov. Quest’ultimo, come si evince in tutto il corso della narrazione, ma soprattutto nel dialogo finale con Eugénie, si rivela dotato di una gentilezza e di una ricchezza interiore degne dei Cinque di Monteverdi. Mi parli un po’ di lui?

Balakov è probabilmente il personaggio che preferisco in questo volume. Un uomo che ha attraversato il Rubicone e pertanto sa che non potrà tornare indietro. I ponti alle spalle sono bruciati, ma decide di invertire la rotta e di tentare di tornare a un livello di umanità e di sensibilità che gli appartengono, malgrado abbia un superiore, Dimitrov, che non permette simili debolezze. Mi piace molto come personaggio e penso che sia stato sfortunato a incontrare Dimitrov, poiché come hai ben detto tu, se fosse nato a Monteverde sarebbe sicuramente ben integrato nel gruppo dei 5, assolutamente! Il confronto con Eugénie è molto emblematico e fa capire, in poche pagine, il suo grado di intelligenza e soprattutto di sensibilità. Uomo giusto al posto sbagliato, come spesso accade.

  • Nel romanzo delinei in modo piuttosto preciso alcuni ritratti di personaggi che potremmo definire ‘comparse’ (ad esempio il dottor Vito, medico della mutua di Di Chiara, o il signor Murami): a cosa sono funzionali questi inserimenti?

Servono secondo me sia per spezzare un po’ l’atmosfera troppo cupa del romanzo e servono anche per offrire al lettore una visione dei protagonisti con gli occhi di personaggi secondari, che potrebbero essere i lettori stessi. Sono pertanto fondamentali poiché completano il mosaico di descrizioni che molto spesso filtra soltanto dai protagonisti.

  • Di fronte all’ennesimo crimine che non ha potuto impedire, Ansaldi crolla e si chiede: “Perché il male vince sempre?”  Restiamo nell’ambito strettamente romanzesco: in libreria sembra veramente che il male si configuri come un vero e proprio vincitore, visto il successo che riscuotono gialli, thriller e noir. A cosa è dovuto, secondo te, questo riscontro del pubblico?

Non so se il male vinca sempre nelle librerie, però il noir ha offerto ai lettori la possibilità di avere il punto di vista del male, degli antagonisti. Mentre il giallo è consolatorio e il bene e il male sono facilmente distinguibili e soprattutto il bene trionfa sempre, nel male effettivamente le cose vanno molto spesso al contrario. Non saprei dirti perché, però sicuramente i casi di cronaca nera affascinano i lettori e gli spettatori, forse perché ci fanno paura e al tempo stesso ci incuriosiscono. 

  • Nella cosiddetta ‘bio’ di Instagram ti definisci ‘lettore appassionato’. Quali testi hanno contribuito di più alla tua formazione e quali hanno inciso sulla tua decisione di dedicarti alla scrittura?

Io volevo raccontare, innanzitutto, degli esseri umani, con tutto ciò che ne consegue, come protagonisti. Che poi siano anche poliziotti, mi verrebbe da dire, quasi paradossalmente, è secondario. Volevo davvero rappresentare l’elogio della fragilità, per questo motivo ho deciso di creare protagonisti comuni, ordinari, con tante qualità, ma tantissimi difetti. Non sono né bianchi né neri, ma grigi, hanno le loro zone di luce e di ombre. Ho tentato di costruire un gruppo ben amalgamato in cui ogni lettore potesse immedesimarsi. Singolarmente non riuscirebbero a risolvere nulla, ma insieme ce la fanno. Se sono partito da questo principio è perché la letteratura dell’Ottocento francese mi ha forgiato. Balzac, Hugo, Maupassant, Dumas sono stati i miei maestri così come il polar francese, di Bussi, Lemaitre, Thilliez ha assolutamente seminato in me qualcosa. Poi sono il frutto di tantissime altre letture, penso a De Giovanni, Markaris, Mankell…insomma i grandi maestri del giallo internazionale.

  • Per chiudere l’intervista e salutare i lettori, ti chiedo di citare una frase del tuo libro che reputi importante o significativa. 

Se si può uscire da un buco nero Eugénie, si può uscire anche da quello che hai dentro. Qualsiasi cosa essa sia. Con pazienza e col tempo, non indenni, certo, ma si può uscirne.

Grazie! 🌷

François Morlupi (Roma, 1983), italo-francese, lavora in ambito informatico in una scuola francese di Roma. Con Salani ha pubblicato Come delfini tra pescecani (2021) e Nel nero degli abissi(2022), vincendo con entrambi il Premio Scerbanenco assegnato dai lettori, oltre a numerosi altri riconoscimenti. Formule mortali è stato pubblicato per la prima volta nel 2018, ha dominato per mesi le classifiche degli ebook e torna finalmente in libreria in una nuova edizione ampiamente riveduta (dal sito della casa editrice).

Nel mese di aprile 2024 è stato pubblicato Il gioco degli opposti (clicca QUI per la recensione)

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