Rubem Fonseca

Il caso Morel è un libro del 1973, che Fazi editore pubblica oggi per la prima volta in traduzione italiana (ringrazio la casa editrice per la copia in anteprima).
Un giallo complicatissimo, non per l’intreccio in sé (la soluzione del caso è, anzi, piuttosto semplice e relegata in secondo piano), quanto per l’accavallarsi di realtà e finzione, non sempre facile da distinguere per il lettore.
Un testo metanarrativo ovvero un libro che parla di un altro libro, cioè quello composto dal protagonista Paul Morel: da artista famoso che era, Morel, infatti, si improvvisa scrittore e inizia a raccontare la propria vita, mentre si trova in carcere perché accusato (a suo dire ingiustamente) dell’omicidio della sua convivente.
Le pagine del libro di Morel si intrecciano alla narrazione vera e propria, ulteriormente complicata dal fatto che a leggerle in anteprima è Vilela, un ex ispettore che ha lasciato la Polizia per diventare a sua volta scrittore e che tende ad immedesimarsi nella biografia e nel libro dell’accusato.
A questi due piani del racconto, si aggiungono pagine ‘tecniche’ come i verbali della polizia o i referti dell’autopsia, e pagine ‘intime’, come quelle del diario della donna assassinata.
Devo dire la verità, soprattutto all’inizio ho fatto tanta fatica a capire e ad andare avanti nella lettura, un po’ disturbata anche dallo stile, per i miei gusti troppo spinto in alcune (tante) parti. Il modo di esprimersi di Morel è come lui, del resto: “debosciato, depravato, scabroso e pernicioso”.
È vero, d’altra parte, che sono numerosissime (e bellissime) le citazioni letterarie inserite tra le pagine, come a voler riportare verso “l’alto” il livello stilistico “basso” con cui l’artista si esprime.
Nella seconda metà dell’opera, le vicende si fanno più chiare e lineari (non a caso, è la parte in cui si diradano le inserzioni del romanzo di Morel) e si giunge ad un finale ambiguo e variamente interpretabile, che è un po’ l’asso nella manica del libro, il suo punto di forza maggiore.