
“La verità è che dentro di me c’è sempre stata una voce che diceva di andare contro, di fare diversamente da come tutti facevano”
Con queste parole, che, forse meglio di altre, descrivono Rosa Genoni, scelgo di introdurre la protagonista del romanzo di Eleonora D’Errico, pubblicato da Rizzoli nello scorso mese di aprile.
Una protagonista straordinaria della nostra storia, Rosa, che ha combattuto mille battaglie per la propria affermazione personale, ma anche per i diritti di tutte le altre donne (“Se ogni donna lotta, anche se lo fa per stessa, ne beneficiano tutte”).
Insieme a personaggi altrettanto eccezionali, come Anna Kuliscioff o Anna Maria Mozzoni, ha lottato per difendere bambine, prostitute, operaie, ragazze madri dalle regole di una società che ignorava le loro esigenze, calpestandone le esistenze e sopprimendone le aspirazioni.
I suoi capelli ribelli, che il padre le impone sempre -invano- di riordinare, sin da piccola la qualificano come una ‘scapigliata’, una figura altra, smaniosa di vivere all’insegna della propria libertà di scelta, senza condizionamenti di sorta, riguardino essi la vita sociale o quella privata.
Non conosciutissima, cancellata, insieme a tante altre eccezionali figure femminili del passato, dalla memoria di una storia scritta solo dagli uomini, Rosa, alla fine del XIX secolo, parla già la lingua delle nostre figlie e delle nostre nipoti: con sguardo avveniristico e impeto profetico, si getta nella lotta per i diritti delle lavoratrici fin da quando, poco più che quindicenne, tiene testa alla sua datrice di lavoro, la padrona della sartoria Oro, con l’obiettivo di farle capire che le sartine che cuciono al suo servizio, oltre ad affrontare turni massacranti e sottopagati, non riescono quasi a respirare per colpa dei corsetti che stritolano il loro busto.
Se, come credo, “quelle gabbie assurde” rappresentano le costrizioni, di qualunque tipo, a qualunque livello, imposte unilateralmente alle donne di ogni classe sociale dall’alto di una tradizione patriarcale vecchia come il mondo, ecco, allora si può dire che Rosa ha odiato e combattuto contro i corsetti per tutta la vita.
Orgogliosa delle proprie origini umili e montanare, appena diciassettenne si fa assumere dal proprietario della famosa Maison Rouff di Parigi, chiedendo di essere “la referenza di se stessa”.
Discriminata perché femmina e povera in Italia, perché italiana in Francia, Rosa sente da sempre dentro di sé il bisogno di contribuire alla costruzione di una società più equa e più giusta, rivendicando un’autonomia di pensiero e di azione che le deriva dall’esempio, mai dimenticato, della nonna Angela:
“Tu impara da me, devi saper fare tutto da sola”
Sartina, première, direttrice di una prestigiosa casa di moda, ma anche, anni dopo, insegnante alla Scuola Umanitaria, Rosa dimostra una sorprendente versatilità, frequentando con la stessa disinvoltura gli ambienti altolocati come i bassifondi, le bettole e i ritrovi degli anarchici come i teatri e i più famosi atelier di moda e sapendo trarre importanti lezioni di vita dagli uni e dagli altri.
Ma Rosa lotta anche per svincolare la moda italiana dalla supremazia assoluta di quella francese e per creare un prodotto nazionale di alta qualità, ispirato direttamente ai grandi capolavori della storia dell’arte del nostro (e solo del nostro) paese.
Giacché la moda, secondo lei, non è una frivolezza, ma deve essere assimilata a una forma d’arte e soprattutto considerata come uno strumento di emancipazione e un potente mezzo di espressione di sé:
“La moda è molto di più, è una cosa seria”; “…serve a manifestare i propri ideali”
Lo strumento principe in questo senso resta comunque il sapere: fin da piccola, Rosa apprende il francese, sa leggere e sa scrivere e coglie la necessità assoluta di essere istruita per poter acquisire dignità e consapevolezza.
Scrive alla nonna nel 1884, cercando di spiegare il motivo per cui ha scelto di lasciare Milano e trasferirsi a Parigi:
“Ora so che avere un’istruzione e un impiego permette anche a noi donne di fare scelte e vivere secondo le nostre attitudini e inclinazioni”
E vent’anni dopo, nel 1905, alle sue alunne della scuola di sartoria afferma:
“A me non interessa fare di voi delle sartine, a me interessa insegnarvi a usare la testa. Perché più cose saprete fare, più avrete possibilità, più avrete alternative, più sarete libere”
Complice anche la narrazione in prima persona, Rosa è il centro propulsore del romanzo: tutti gli eventi, i luoghi, i personaggi esistono in relazione a lei e al suo modo di affrontarli e di viverli.
Ma se per un momento proviamo ad estrapolare gli stessi eventi, luoghi e personaggi dalle parole di Rosa, ci rendiamo conto che questo libro ci racconta anche un pezzo di storia d’Italia: il periodo, complesso e ricchissimo di trasformazioni, compreso tra gli ultimi due decenni dell’800 e lo scoppio della Prima guerra mondiale, in cui come su una passerella vediamo sfilare Anna Kuliscioff e Filippo Turati, la regina Margherita e Ada Negri, Ulrico Hoepli e Gaetano Bresci.
È il momento in cui la città di Milano fa un salto verso la modernità delle altre capitali europee, attraverso la diffusone dell’illuminazione elettrica, del tram a vapore, dei primi telefoni e cinematografi; il tempo della nascita del Partito Operaio e dei congressi internazionali degli anarchici; l’epoca dell’Italietta umbertina, che si fa bella per le prime della Scala dirette dal maestro Toscanini.
Eleonora D’Errico ha il dono di scrivere in modo raffinato e di saper accostare le parole trasformandole in armonia; con una scrittura animata anche dalla limpida passione di chi crede fermamente in un ideale, in questo libro ci racconta la storia di una donna fuori dal comune, invitando ognuna di noi a condividerne le sfide e a non accontentarci di “restare a guardare”.
“Se c’è una cosa in cui credi, devi lottare per ottenerla, non sperare che accada”
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Titolo: La donna che odiava i corsetti
Autore: Eleonora D’Errico
Casa editrice: Rizzoli
Data di pubblicazione: aprile 2024
Pagine:
Prezzo dell’edizione cartacea:
Prezzo dell’edizione digitale:
Sinossi
La storia di Rosa Genoni, la donna che rivoluzionò la moda e inventò il Made in Italy.
Rosa ha solo dieci anni quando lascia la sua famiglia a Tirano, sulle montagne della Valtellina, e va a Milano, per lavorare come piscinina nella sartoria della zia Emilia. È il 1877, e la città la travolge con il fermento di una metropoli nascente, l’illuminazione a gas, i tram a vapore, i caffè, la Scala. La vita di un’apprendista sarta è dura, i turni estenuanti, ma la bambina è sveglia, e dimostra subito un talento speciale per la moda. Così assorbe tutto, comprese le nuove idee di giustizia sociale e libertà, e diventa una giovane donna coraggiosa, oltre che una sarta raffinata e dalle idee innovative.
Da Milano a Parigi, dove nascono gli abiti che tutto il mondo ama, il passo è breve, ed è proprio lontano da casa, sulle rive della Senna, che Rosa concepisce l’idea di una moda che non sia solo un’eccellente copia di quella d’Oltralpe, ma che risplenda di un’originalità tutta italiana, ispirata ai dipinti del Rinascimento e ai fiori delle sue Alpi. È così che inventa il concetto di “made in Italy”. Tra broccati e toilettes di seta, l’impegno di insegnante all’Umanitaria e l’amore – scandaloso all’epoca – per l’avvocato Podreider, la voce vivida di Rosa ci racconta la sua vita anticonformista e luminosa, le sue battaglie per liberare le donne dai corsetti e dai pregiudizi.