
Orbital
di Samanta Harvey
Traduzione di Gioia Guerzoni
NN Editore, 2025
174 pagine
euro (cartaceo)
euro (digitale)
“C’è una luce pallida mentre salgono verso nord, sopra le Ande coperte di neve e bordate ddi nuvole, poi le nubi si diradano e sotto c’è l’Amazzonia, rovente e in fiamme”
In questo poeticissimo romanzo, Samantha Harvey racconta l’esperienza di sei astronauti, in orbita per nove mesi intorno alla terra su un astronave “che esegue ogni giorno la sua perfetta coreografia del pianeta”, “un sottomarino solitario che si muove negli abissi del vuoto”.
Sei giovani di diversa nazionalità condividono questa avventura straordinaria e imparano giorno dopo giorno a vivere e a convivere nella navicella (“la gigantesca nave spaziale”), superando poco a poco tutte le difficoltà iniziali – il mal di spazio, l’assenza di gravità, la claustrofobia (se pensano al “dentro”), l’agorafobia (se pensano al “fuori”)- e sentendosi presto “una famiglia per aria”.
Il lettore conosce la loro storia pregressa, raccoglie le loro confessioni più intime circa le motivazioni che li hanno spinti a intraprendere questa strada (pur nella lucida consapevolezza di essere un mezzo e non un fine e pur sapendo bene che quello che rilevano e rigorosamente documentano servirà non a loro, ma a chi verrà dopo), partecipa alla loro nostalgia, alla loro malinconia, alla loro meraviglia.
Il punto di vista da cui è condotta la narrazione è quello dei sei protagonisti. Ciò comporta un decisivo capovolgimento delle prospettive abituali, un colpo d’occhio straniato e straniante sulle tante questioni scientifiche, filosofiche, politiche, religiose, che vengono affrontate pagina dopo pagina.
Durante il viaggio, infatti, gli astronauti sono parte di una dimensione altra, durante le passeggiate spaziali “volano” nel senso più ampio e libero del termine, con la sensazione di non essere ancora nati, di essere avvolti nel grembo materno.
Per questo sono convinti che, al momento del rientro sulla Terra, si sentiranno “alieni che imparano a muoversi in un mondo folle, tutto nuovo”.
Ecco che, di fronte all’immensità dello spazio, la Terra appare, in tutto il suo relativismo, come un punto infinitamente piccolo; l’eliocentrismo e il geocentrismo di cui si è dibattuto per secoli perdono ogni valore, visto che il Pianeta è ai margini dell’universo, non al centro, ma l’universo stesso è fatto di margini, “un ammasso vertiginoso di cose danzanti”.
Se anche “la magica biglia che è la terra” dovesse essere protagonista di un qualche evento cosmico negativo e distruttivo, questo sarebbe solo un “microdramma”, perché “siamo in mezzo a un universo di collisioni e derive”.
Eppure, sebbene questa verità appaia schiacciante e inconfutabile, il dato che emerge con più evidenza da questo libro è proprio l’amore profondo per il nostro pianeta.
Harvey denuncia la politica dell’avidità che lo sta devastando, la frenesia del guadagno a tutti costi che lo sta saccheggiando:
“Il pianeta è plasmato dall’incredibile forza dell’avidità dell’uomo, che ha cambiato tutto, le foreste, i poli, le riserve, i ghiacciai, i fiumi, i mari, le montagne, le coste, i cieli. Un pianeta modellato e disegnato dall’avidità”
I sei astronauti si sentono in dovere di proteggere la Terra, non solamente perché “da lei dipende la nostra vita”, ma anche perché ogni giorno essa appare in tutta la sua straordinaria grandiosità, uno spettacolo magnifico che non ci si stanca mai guardare.
Una serie di immagini fantasmagoriche ne celebrano la luminosità, i colori, i paesaggi (“uno spettacolo così grandioso da sconvolgere i sensi”), di notte, quando appare luminosa al massimo e sembra senza divisioni né confini (“l’eccesso luminoso della notte toglie il respiro”; “il pianeta canta di luce”), e di giorno, quando sembra disabitata e mostra tutto lo splendore della sua natura (“sembra respirare, come un animale”).
“…il verde e il rosso delle aurore che mutano e ondeggiano serpeggiando all’interno dell’atmosfera, frenetiche e magnifiche come una creatura intrappolata”
La suggestione delle scene rappresentate intona un inno alla bellezza miracolosa della Terra: per descriverne degnamente la maestosità, l’unico aggettivo che si può adoperare è “ultraterrena”.