Quel tipo di ragazza

Elisabeth Jane Howard

Edmund e Anne sono sposati da dieci anni, vivono in campagna una vita tranquillissima, prevedibile e un po’ noiosa. Ma sono convinti di essere felici: Edmund ama descrivere il loro matrimonio attraverso la metafora dell’isola (“Chiamava isola la loro intensa e privatissima vita coniugale”), a sottolineare l’idea di ‘separazione’ dal resto del mondo e l’esclusività del loro rapporto.

Questo ménage viene rapidamente stravolto dall’arrivo di Arabella: la ragazza, figlia della matrigna di Edmund, è giovane, disordinata, bellissima (più di uno la accosta alla meravigliosa Flora di Botticelli), gentile, premurosa, terribilmente sola e assetata di affetto. Come un ciclone, Arabella squarcia il velo di ipocrisia che avvolge il matrimonio dei Cornhill, mettendo in evidenza la fragilità della loro relazione e mandando in tilt le certezze sia dell’uno che dell’altra (“Aveva fatto cadere le loro maschere”). 

A parte i tre sopra citati, questo romanzo presenta poche altre figure, alcune delle quali classificabili solo come semplici ‘comparse’. 

Eppure, ciò che colpisce il lettore è il fatto tutti questi personaggi vivano delle esistenze assolutamente squallide e senza gioia: che si tratti di Sir William, il vecchio e sordo datore di lavoro di Edmund, vedovo inconsolabile dell’adorata Irene; o di Clara, la ricchissima e sposatissima madre di Arabella, che si annoia a Parigi, ma anche su uno yacht; o di Janet, che deve calcolare al centesimo i soldi che ha in tasca per non fare brutta figura al supermercato, l’insoddisfazione e l’infelicità di fondo restano le stesse.

Non importano la classe sociale o la condizione economica: pieni di soldi, benestanti o indigenti che siano, i personaggi sono tristi, spenti, quasi privi di vita interiore. 

Mentre Edmund e Anne non se ne accorgono (o fanno finta di non accorgersene), Arabella è pienamente consapevole delle proprie difficoltà emotive: l’unica persona da cui si sia sentita veramente amata (Nan, la bambinaia scozzese) è morta da tempo e da allora non ha mai più provato affetto sincero per nessuno. Soprattutto, non si è mai più sentita amata da nessuno.

 “Non appartengo a nessuno e a nessun luogo”; “Non ho mai amato nessuno…[…] e siccome non amo nessuno, sono una mina vagante”. 

Il terremoto che provoca nelle vite di Cornhill non è dettato da cattiveria o  perversione, ma solo dal bisogno profondissimo di colmare quei vuoti sentimentali che la perseguitano da sempre:

“Io volevo solo che tu mi volessi più bene”

Ringrazio di cuore l’editore Fazi per la copia digitale che mi ha offerto in omaggio.

Casa editrice Fazi

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