Tutta brava gente 📖 Ashley Flowers

Tutta brava gente

di Ashley Flowers

traduzione di Salvatore Serù

Baldini+Castoldi, I lupi, settembre 2024

416 pagine

20 euro (cartaceo)

11,99 (digitale)

Giovane autrice americana esperta di podcast true crime, Ashley Flowers firma un thriller ad alta tensione, ambientato tra il 1994 e il 2019 a Wakarusa, piccola cittadina dello stato dell’Indiana. 

Thriller in cui l’ambientazione risulta un fattore di primo livello ai fini dello svolgimento dell’intreccio, al punto che il primo indizio di questa rilevanza è ravvisabile sin dal titolo: esso infatti, per antifrasi, va a porre l’accento sull’elevato tasso di ipocrisia e di perbenismo che caratterizza gli abitanti della comunità. 

Quella “brava gente” vive di chiacchiere e di pettegolezzi; giudica, ingigantisce, etichetta, nascondendo voci e dicerie sotto il velo della compassione e della solidarietà.

Ciò emerge in più punti del romanzo, sin dall’incipit: 

“Gli abitanti di Wakarusa, Indiana, potevano far girare i pettegolezzi più velocemente di quanto un ragno tessa la sua tela. Ogni volta che qualcuno di loro faceva qualcosa che non doveva, […] i membri del club del pettegolezzo di Wakarusa facevano scattare le mascelle, masticando la notizia così a fondo che, quando finalmente riuscivano a sputarla fuori, la Verità era deformata e irriconoscibile, trasformata in Storia. E poiché gli abitanti di Wakarusa erano persone che frequentavano la Chiesa, rispettavano la legge ed erano timorate di Dio con la D maiuscola, la Storia veniva sempre impreziosita con perle di dolcezza che ricoprivano i suoi spigoli; Che Dio la benedica, ma… pregherò per loro, perché hai sentito…? Il Signore abbia pietà delle loro anime.”

Accade così che molti dei protagonisti della vicenda siano condizionati dall’appartenenza a questo contesto ‘deformante’ e finiscano per vivere una vita non autentica, fatta di menzogne anche gravi, pur di non discostarsi da ciò che gli altri si aspettano da loro:

“questa città ci mette un’etichetta addosso dal giorno in cui nasciamo”

Il contrasto tra apparenza e realtà è in effetti il vero centro nevralgico di questa storia, nella quale tra i personaggi principali sono numerosi quelli che sembrano ciò che non sono, secondo un espediente narrativo forse non originalissimo in un thriller, ma sempre in grado di spiazzare chi legge, rovesciandone le aspettative. 

Mentre la lettura prosegue, si ha modo di apprezzare un continuo cambiamento di prospettiva, in nome del quale fatti e figure vengono continuamente rimessi in discussione e riletti alla luce di sempre nuovi indizi o testimonianze.

Ciò è favorito anche dalla doppia focalizzazione e dalla doppia ambientazione temporale utilizzate per raccontare gli eventi. Il punto di vista di Krissy, madre della piccola January, la cui morte (avvenuta nel 2004) è l’epicentro della narrazione, si alterna a quello della protagonista Margot, una giovane giornalista che, dopo anni di lontananza, (nel 2019) torna a Wakarusa, per assistere l’amato zio Luke, e subito collega il recente delitto di un’altra bambina a quello di January, indimenticata amica d’infanzia, il cui ricordo la ossessiona da sempre.

“Anche se January doveva mancarle disperatamente, era la paura quella che ricordava di più. Margot cominciò a immaginare un uomo senza volto in piedi tra le due case, che faceva Ambarabà ciccì coccò con la finestra della camera della sua amica e con la sua.”

Fino all’ultima pagina la vicenda prosegue sul filo di questa ambiguità, tra false piste, intuizioni improvvise e scoperte scioccanti, completandosi in modo definitivo solo nell’epilogo e chiudendosi con un accenno, non casuale, visto quanto si diceva sopra, alla “messa in scena di una vita intera” sapientemente organizzata dall’assassino. 

Grazie Baldini+Castoldi per la copia omaggio 🌺

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